Racconto di una mamma.

Una mamma racconta la sua esperienza con uno dei disturbi dell’apprendimento ancora meno conosciuti: la discalculia.

Qualche mese fa ho scoperto che mia figlia è discalculica.

Cosa vuol dire? La discalculia è un disturbo dell’apprendimento, come la dislessia. O meglio, è una forma di dislessia che però non crea difficoltà nell’ambito lettura/scrittura ma nell’ambito del calcolo, della matematica… non solo… perché poi alla fine le conseguenze ci sono un po’ in tutte le materie, dove più evidenti dove meno.

Torniamo però indietro alla mia prima frase: “ho scoperto che mia figlia è discalculica”. In realtà non è del tutto corretta perché ho solo dato il nome a qualcosa che già conoscevo, di cui mi ero accorta quando mia figlia frequentava ancora la seconda elementare. Mi dicevano che era distratta, che faceva solo ciò che le interessava, che non si applicava abbastanza. Ci fu un periodo proprio brutto: mia figlia regrediva, era piena di tic, non voleva andare a scuola, era quasi sempre da sola, non riusciva a legare. Io me ne accorsi e cercai di aiutarla. Vidi anche quell’invertire i numeri, quello scrivere il 3 come fosse il simbolo di infinito, il 7 partendo dal basso… qualcosa che somigliava tanto all’inversione di lettere dei dislessici, di cui avevo letto qualcosa,, e ne parlai con le maestre quando loro si lamentavano; “No signora, sua figlia legge bene, non è dislessica… però vuol fare solo quello che le piace”. E rimasi in silenzio, non mi è mai piaciuto fare la madre che non accetta le mancanze dei propri figli. Un po’ la rimproverai, un po’ cercai di aiutarla a superare il disagio della regressione, dei tic… Un po’ le cose sembravano migliorare, mia figlia cominciò ad avere qualche amichetta, a socializzare e scoprì il piacere di scrivere, che solo ora capisco fino a che punto per lei sia stato veramente terapeutico, anche nel socializzare. Infatti cercò di creare con alcune compagne un gruppo di scrittura, cosa che ha sempre cercato di fare. E scriveva, scriveva…

Però c’era anche da imparare le tabelline, fare le divisioni… e pure le poesia a memoria erano un bel problema! Poesie toste, già in terza elementare: Il cantico di Frate Sole, la pioggia nel pineto… che fatica! Ma mentre per le poesie l’incoraggiavo, comprendendo una difficoltà di memoria, per le divisioni la tormentavo più di quanto la tormentassero le divisioni stesse: “Non distrarti”, “Non stare con la testa per aria”, “Pensa solo alla divisione”…

Alla fine in qualche modo anche tabelline e divisioni sono state un problema superato… ma a quale prezzo? Solo ora lo capisco… quanto ne è stata colpita la sua autostima, per essere rimproverata per qualcosa che non riusciva a fare, non in quel modo… quanti rimproveri, quante sgridate, quanti pomeriggi passati a innervosirci… quanta cecità da parte mia, favorita tra l’altro dall’avere un figlio grande che secondo me era la normalità della matematica e che solo ora sto scoprendo che è invece particolarmente dotato! Quanto doveva soffrire povera piccina, vedendo quei numeri che si confondevano, si mischiavano, fra cui lei si perdeva. E poi le sue difficoltà si riflettevano nei rapporti con le compagne, nella sua “abilità” sociale che guarda caso emergeva solo in vacanza, fuori dall’ambito scolastico, dove lei invece si nascondeva, vergognandosi dei suoi insuccessi.

E io? Io, da mamma accettante, educata da buone letture, da belle discussioni con altre mamme e da ottimi percorsi per genitori organizzati dalla scuola, mi convincevo che mia figlia pur essendo straordinariamente intelligente, soprattutto nelle cose pratiche e creative, era meno matura dal punto di vista dell’apprendimento, meno pronta, forse anche perché di fine anno e, pur accettandola in pieno, però, lasciavo che fosse vittima dei soliti “non si applica” perché sì, avevo accettato l’idea che non tutti si applicano in tutto!

E leggevo dell’intelligenza emotiva, delle intelligenze multiple e mi convincevo che sicuramente lei era dotata in un modo diverso, che la scuola tradizionale e schematica, non è pronta ad accogliere, ad agevolare, a rinforzare, specie i ragazzi non sono particolarmente volenterosi! Insomma, qualcosa la capivo, ma poi ricascavo nell’errore di svalutare l’impegno di mia figlia!

Nel frattempo le elementari stavano finendo e non vedevo l’ora che potesse ricominciare. Con nuovi compagni, nuove insegnanti, nuovi metodi. Un po’ col rimpianto di non aver mai preso la decisione di farla cambiare scuola o classe… forse sarebbe stato meglio… forse l’avrebbe vissuta come una sconfitta sua…

Alle medie va subito tutto molto meglio! La professoressa di italiano è entusiasta del suo essere così creativa, del proporre idee… che differenza dal “pensa sempre ad altro, si distrae…” delle elementari… che diversa chiave di lettura! Arrivano tante amicizie, lei mi dà l’impressione di impegnarsi tanto di più (poi riflettendoci scopro che aveva riscoperto un po’ di motivazione, poiché le nuove insegnanti le davano nuove possibilità), si fra promotrice di progetti, condivide ora con le compagne la sua creatività, l’amore per lo scrivere, è piena di entusiasmo.

Ma dura poco… dopo la prima media, che è un po’ anche un anno di integrazione, di ripetizione… cominciano le difficoltà maggiori. La matematica si fa più complicata, arrivano i problemi, la espressioni poi… così lunghe, così complicate… i numeri ricominciano a mischiarsi più che mai… e si mischiano i segni e nelle frazioni i numeri vanno giù e su… anche l’insegnante delle medie comincia a pensare che la matematica non le piace, che si distrae troppo, si assenta, “sale sulla nuvoletta”. L’insegnante di italiano ora insegna anche storia e geografia e il suo apprezzamento per lei diminuisce… anche lei pensa che mia figlia sfrutti la dote che ha per l’italiano ma studi poco.

Dopo i colloqui comincia per me il tarlo: gli orali mia figlia li studia, li ripetiamo insieme, però effettivamente fa fatica…. Depongo l’abito della madre accettante e comincio a rendermi conto che fa “troppa” fatica, che il distrarsi non spiega perché dopo aver riletto un paragrafo tante volte ancora non sa ripeterlo; e poi la osservo fare le espressioni: conosce alla perfezione le modalità di svolgimento, le regole ma… 7/21 al rigo sotto diventa 7/12, il + diventa -… il tempo che impiega a calcolare a mente quante volte va il 12 nel 48 è tale che poi ha perso il filo del contesto in cui inserire il 4 che ne risulta. E mi viene in mente la fatica che ha fatto per imparare a leggere l’orologio!

Decido di andare da una esperta, che dopo due ore di test dà un nome al problema di mia figlia: discalculia.

E ora ci stiamo lavorando. Grazie ai consigli dell’esperta, grazie alla straordinaria disponibilità delle insegnanti, ma grazie soprattutto al fatto che mia figlia sta faticosamente riappropriandosi dell’autostima distrutta, stiamo già vedendo i primi risultati positivi, dopo pochi mesi.

Il problema grande in realtà non è la discalculia, ma la perdita di fiducia in se stessa che ha subito; l’altro giorno, nel comunicarmi che è stata selezionata per il corso di eccellenza in italiano, mi ha detto: “Ma perché io vado bene nelle materie inutili?”, raccontandomi subito dei compagni selezionati per il corso di eccellenza in matematica, che, tra l’altro, frequenta anche il fratello al liceo. Ovviamente le ho spiegato che l’italiano è tutt’altro che inutile… ma ce ne vorrà di lavoro per minare i pregiudizi che si è costruita su se stessa.

Nel frattempo sto cercando di capire fin dove arriva il suo disturbo dell’apprendimento. Non si tratta solo di matematica, ma riguarda un po’ tutti gli ambiti in cui c’è molto da memorizzare. Ecco perché i capitoli di storia ricchi di nomi e date sono più difficile, ecco perché anche il latino si presenta ostico, con tutta quella roba da imparare a memoria, e quelle desinenze che un po’ come i numeri si confondono! Strana cosa la genetica… ho sempre notato che l’altro figlio impara con straordinaria facilità proprio i capitoli di storia con nomi e date! I numeri e i simboli che per lei sono dei nemici per lui sono dei facilitatori, degli aiuti…

Beh… comunque conoscere un problema è già il primo strumento per affrontarlo. Non perché diventi brava in matematica, forse lo diventerà, forse no, ma perché torni a essere serena, perché riacquisti fiducia in se stessa; ho letto un libro molto bello in questi giorni, si chiama Le aquile sono nate per volare. Il sottotitolo è: “Il genio creativo nei bambini dislessici”. È un libro che da fiducia, non tanto perché scopri che i più grandi geni erano dei dislessici, ma perché scopri che è proprio una caratteristica dei bambini dis-qualcosa, e delle persone dis-qualcosa, essere particolarmente bravi in qualcos’altro, su cui bisogna puntare. Le aquile sono nate per volare, mia figlia forse lo è per scrivere o per creare… l’importante è che abbia la voglia di scoprirlo, la possibilità di seguire le sue inclinazioni.