Come scrivere un racconto.

Scrivere un racconto è un’arte. Dai personaggi alla trama, all’uso della punteggiatura, ecco alcune regole da seguire per mettere a punto la proprià abilità nel narrare in forma breve, con pratici consigli e tutti i tranelli da evitare.

“C’è chi dice che il racconto sia una delle forme letterarie più difficili, e io mi sono sempre chiesta il perché di questa convinzione, visto che a me pare uno dei modi più spontanei e  fondamentali dell’espressione umana. Dopotutto, uno comincia ad ascoltare e a raccontare storie sin da piccolo, senza trovarci nulla di particolarmente complicato. Ho il sospetto che tanti di voi raccontino storie da una vita, eppure eccovi qui seduti, tutti desiderosi di sapere come si fa.”
Flannery O’Connor

INTRO
La sintesi è indizio di genialità. Scrivere storie brevi significa essere in grado di muoversi in uno spazio limitato; saper raccontare una storia nel modo più conciso possibile; riuscire ad attrarre il lettore in un clic – se non in poche righe. Ci sono racconti che rimangono nel cuore dei lettori per sempre, mentre molti romanzi sbiadiscono nel nulla. In un racconto breve l’abilità sta nel vedere relazioni là dove non ne esistono ancora.
Un racconto è una storia che viene raccontata in tempi rapidi e precisi; con un numero limitato di parole e di conseguenti immagini; con pochi personaggi ma indimenticabili.
La famosa frase di Gustave Flaubert: “Scrivere è un modo di vivere” può essere parafrasata in Scrivere è un modo di leggere. Non esiste altra regola per scrivere un buon racconto se non quella di leggerne tanti (buoni). A voi la scelta. Tra i tanti scrittori di racconti brevi vi consigliamo di leggere quelli che preferite. I nostri sono: Edgar Alan Poe, Flannery O’Connor, Ernest Hemingway, Raymond Carver, Alice Munro, John Cheever, Anton Čechov, Joyce Carol Oates e, per restare in Italia: Goffredo Parise, Tommaso Landolfi, Dino Buzzati, Italo Calvino, Stefano Benni e molti altri…

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DETTAGLIO
Il cappotto è un racconto dello scrittore russo Nikolaj V. Gogol’ che ha come protagonista un impiegato zelante, un alienato, che trova beneficio sociale dall’acquisto di un cappotto. Quando viene derubato del prezioso indumento, depresso e ammalato, muore. Da quel giorno il suo fantasma vaga per le vie di Pietroburgo a derubare i passanti dei loro cappotti.
Cosa c’entra Il cappotto di Gogol in questo contesto? C’entra. Siamo tutti venuti fuori da Il cappotto. La sua storia dimostra che in un racconto l’idea è tutto. L’idea intesa come intuizione. Come dettaglio che rende quella storia più interessante di un’altra. Unica.
Non descriverete le emozioni, lo stato d’animo, la condizione psicologica dei vostri personaggi attraverso l’uso di espressioni banali come “era povero e triste”, “soffriva atrocemente” eccetera. Materializzatele, condensatele invece in un dettaglio e riempitelo di significato. Cosa state facendo in questo modo? Niente altro che una sorta di metafora che rende il vostro racconto meno scontato: state utilizzando uno degli strumenti narrativi più efficaci, il “correlativo oggettivo”.
Attenti però. Non abusate di questo espediente e valutate attentamente quando e come ricorrervi.
L’idea in un racconto deve sollevare domande che (non) hanno bisogno sempre di risposte. Deve essere un’idea interrogativa, intessere un dialogo con il lettore. Prima di iniziare a scrivere, osservate quello che vi sta intorno. Oppure scavate nella memoria. Trovate il dettaglio, la vostra ossessione inconfessabile. Visualizzate il racconto prima di dargli una forma scritta. Come la poesia, il racconto richiede disciplina e rigore. Non abbiate fretta. Se di solito è cattiva consigliera, di certo è una pessima scrittrice. Il tempo è lo scrittore migliore al punto che deve diventare il vostro scrittore preferito.
In breve:
1) Prima di scrivere un racconto, cercate quel dettaglio che avvia la storia il più vicino possibile al punto di svolta o al suo punto culminante.
2) La prima frase è di fondamentale importanza, deve arrivare con uno slancio di energia. Il lettore non deve essere in grado di smettere di leggere.

PERSONAGGIO
La prima domanda che uno si fa quando comincia a scrivere un racconto è Che cosa voglio raccontare? La risposta magari è difficile da recuperare, ma già c’è perché nasce insieme alla seconda domanda: Come lo voglio fare?
I modi di raccontare sono infiniti. Cappuccetto Rosso poteva esser raccontata dalla nonna, dal lupo, dal cacciatore, da Cappuccetto Rosso, da un uccellino che la vede passare. Ha una tradizione popolare, ma poi è stata ripresa da Perrault, dai fratelli Grimm. E ognuno (Perrault, la nonna o il lupo) la racconterebbe o l’ha raccontata in modo diverso.
Quindi, quando ho in testa un racconto, devo decidere chi è tra i personaggi quello giusto a cui dare la parola, a seconda di cosa pensa, di che ruolo ha, di cosa deve fare. Altrimenti posso decidere di raccontare la storia da un punto di vista esterno, che veda tutto o solo qualcosa. Devo solo divertirmi a scegliere a chi preferisco dare voce e pensare come sarà.
Ma per farlo dovete tener presente che in un racconto vale la regola dell’economia dei mezzi. I personaggi di un racconto sono esseri compiuti a tutto tondo e pensano e hanno vissuto cose che non compariranno nella nostra narrazione, ma che li hanno portati fin nel punto che ci mettiamo a raccontare. Tutte cose che influiscono sul loro modo di parlare, se sono loro a farlo, o che devono condizionare noi nel raccontarli.
Uno dei modi per creare un personaggio in poche parole è un efficace utilizzo dei dialoghi. Mai sottovalutare il potere del dialogo nel trasmettere la personalità di un personaggio. Ogni scambio di battute deve contribuire alla messa a fuoco principale della storia, non deve essere solo un riempitivo. Come consiglia Stephen King nel suo manuale di scrittura “On writing” (Sperling & Kupfer, 2001): “Quando un dialogo funziona, lo sappiamo. Anche quando non va bene lo sappiamo: stride all’orecchio come uno strumento mal intonato.” Ogni parola messa in bocca ai vostri personaggi deve contribuire a rivelare il tema del racconto. In caso contrario, il consiglio è essere spietati e tagliare la conversazione come si riattacca la cornetta durante una telefonata inutile o fastidiosa. D’emblée.
Per scrivere un dialogo che funziona nello spazio stretto di un racconto bisogna che il discorso porti avanti l’azione. Il personaggio è tutto in un racconto e il personaggio è l’azione. Basta tenere a mente questa semplice regola: l’azione in un racconto è tutto.
In breve:
1) Dei miei personaggi non devo dire tutto, ma sapere tutto, come sono e cosa pensano.
2) Ci sono due metodi per introdurre un personaggio in un racconto: Un metodo indiretto: descrivendolo con (pochi) aggettivi e un metodo diretto: attraverso i dialoghi e le azioni.

TRAMA / PLOT
Una storia è qualcosa che va da un incipit a un finale. Ma il suo svolgersi non è affatto definito, ci possono essere percorsi diversi che non si escludono a vicenda e ogni strada può avere le proprie diramazioni.
La cosa bella è che noi questo percorso l’abbiamo già vissuto o immaginato, prima di metterci a scrivere, e allora possiamo spezzettarlo e ricomporlo: scegliere lo scorcio visto da lì, i passi fatti in quel tratto o le persone incontrate in quell’altro tratto ancora e poi accostarli secondo un intreccio, un senso e una logica che siamo solamente noi a scegliere. Ma perché?
Una vecchia regola, che un po’ arriva da Aristotele, un po’ dall’umanesimo, e un po’ dalla cinematografia, dice che una buona storia è divisa in tre atti. Il primo in cui si presentano luoghi e persone mescolandoli insieme e creando le basi di una tensione. Il secondo in cui c’è l’esplosione del conflitto, il terzo cui spetta la risoluzione della crisi. Ovviamente, in quanto norma, può essere sfruttata o disattesa, ma la tensione data dal gioco combinatorio di una storia ne crea il movimento e quindi la capacità di catturare l’attenzione di chi legge.
In breve:
1) La trama è la sequenza dei fatti.
2) Il plot è dato dall’insieme delle domande a cui bisogna rispondere per dare tensione drammatica al nostro racconto.

PUNTEGGIATURA
In un racconto la punteggiatura ha la funzione dei segnali stradali. Indica una direzione, obbliga alla sosta, allerta della presenza di strade senza uscita. Fermare un pensiero con un punto non è la stessa cosa che lasciarlo fluire in mezzo a una circonvallazione di virgole. Un punto non solo chiude un discorso, indica il rapporto di tempo e di causa con il punto successivo.
Il movimento della punteggiatura fa parte dello stile di molti scrittori. L’uso della virgola seriale così come il punto ubiquitario ha fatto scuola. È un modo per mostrare al lettore il volto delle parole. Carlo Emilio Gadda a proposito di alcuni racconti partecipanti a un concorso letterario disse: “Una vaga disseminazione di virgole e di punti e virgole, buttati a caso, qua e là, dove vanno vanno, come capperi nella salsa tartara”.
Un posto pulito, ben illuminato è un bistrot parigino dove gli anziani ringiovaniscono e i giovani invecchiano davanti al bancone. Ed è anche il titolo di un racconto di Ernest Hemingway che, a un certo punto scrive: “Nel caffè i due camerieri sapevano che il vecchio era un poco ubriaco; e sapevano pure che, anche se era un buon cliente, se si fosse ubriacato troppo se ne sarebbe andato senza pagare: per questo lo tenevano d’occhio”. Hemingway abbozza la sfiducia dei camerieri nei confronti del vecchio cliente attraverso una perfetta simmetria interpuntiva. Il punto e virgola è la prima pausa: segnala un presagio che viene ripreso dall’inciso (anche se era un buon cliente) che palleggia con lo stato d’animo controverso dei camerieri. Possiamo fidarci di questo vecchio avventore? I due punti direbbero di no, riprendono gli occhi ingrugniti dei camerieri. Il punto conclusivo riapre i giochi: la storia comincia adesso.
In breve:
1) Dirigere le soste narrative è un fatto di allenamento: bisogna leggere e rileggere il proprio racconto. Un trucco è farlo a voce alta per sentire il respiro di una frase.
2) La punteggiatura è una questione di stabilità e di utilità narrative che determinano la chiarezza di un discorso.

RISCRIVERE
Avete scritto il vostro racconto. Ora siete pronti per riscriverlo.
La riscrittura – o revisione o editing che dir si voglia – è una forma di auto-disciplina. Una ginnastica narrativa.
“Limae labor et mora” diceva il poeta latino Orazio alludendo alla pratica di “limare” con pazienza i lavori letterari prima di divulgarli.
Se volete, la vostra prima stesura assomiglia a un campo ancora non perfettamente arato. Questa è l’immagine che invece ci dà Petrarca. La vostra revisione è la zappa che lo renderà fertile, facile da percorrere.
Dopo aver terminato il vostro racconto, provate a rileggerlo come se stesse leggendo l’autore che meno sopportate. Oppure andate a fare un giro, meglio se con amici. Distraetevi, basta anche solo fare una doccia. Fate passare un po’ di tempo in modo che quello che avete scritto possa prendere respiro. Come un buon vino.
Solo quando lo avrete riscritto, scoprirete una cosa meravigliosa. Che quello che avete scritto vi piace. O almeno vi appartiene. Che non è poco. Prendendoci gusto, la riscrittura diventa più divertente della scrittura. Colma lo spazio vuoto e discontinuo che c’è tra la pratica (ciò che si è scritto) e la teoria (ciò che si desidera scrivere). Mostra lo spazio dell’invenzione. L’unica cosa che distingue una semplice storia da un buon racconto.
In breve:
1) Riscrivete
2) Non abbiate paura di andare avanti

COME SI SCRIVE… UN RACCONTO FANTASTICO
In un racconto fantastico la rappresentazione è più forte della realtà. Per questo motivo è ancora più importante attenersi a regole rigide di scrittura. Sobrietà ed economia lessicale, ad esempio. Non è tanto in gioco la credibilità della storia, quanto la capacità dell’autore di mostrare al lettore ciò che esiste solo nella sua testa. Le immagini narrative devono essere nitide per avere senso; gli spunti metaforici – la metafora è uno strumento molto usato nel racconto fantastico – devono essere implicitamente carichi di sviluppi.
Nelle Lezioni americane Italo Calvino la chiama esattezza. È utile un disegno dell’opera ben definito che evochi immagini visuali nitide e incisive (icastiche) con un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.

UN RACCONTO ROSA

Ragazza incontra ragazzo, o viceversa. Non è il tag di una chatline per cuori solitari. E’ quello che succede in un racconto rosa. Senza questo accidente non si può scrivere una storia rosa. L’incontro non deve essere necessariamente uno scontro. Si deve costruire una trama intorno a questo che deve condurre a un lieto fine. Passionalità e romanticismo sono poi gli ingredienti che arricchiranno stile e situazioni della storia. Di solito la protagonista è una donna alla ricerca dell’uomo dei sogni. Ma la tendenza attuale è quella anche di raccontare storie d’amore dal punto di vista maschile. Purché ci siano due cuori disposti a mettersi in gioco e a lottare per il raggiungimento del proprio oggetto d’amore.
Per scrivere un buon racconto rosa è dunque importante inventare personaggi forti, indimenticabili a cui il lettore possa accostarsi senza troppa difficoltà. Un segreto è attingere materiale narrativo dalle grandi storie d’amore che hanno fatto sognare (e sperare) generazioni anche diverse tra loro. 

UNA FAVOLA 
La differenza tra una fiaba e una favola è grosso modo questa: la prima racconta di avvenimenti e personaggi fantastici, l’altra di animali antropomorfizzati o esseri inanimati.
Se vi piace scrivere storie per ragazzi tenete a mente che la storia di solito si svolge in modo quasi sempre lineare in un luogo indefinito; i fatti narrati sono impossibili; il bene e il male sono nettamente divisi e c’è sempre un lieto fine (o una morale) che evoca situazioni che aiutano il giovane lettore a superare le difficoltà della crescita, dimostrandogli che è possibile affrontare le proprie paure. Usate formule standard di apertura e chiusura per immergere i lettori nel tempo senza tempo della fantasia, dilatate l’idea dello spazio e aumentate l’attesa con l’uso di ripetizioni e triplicazioni di parole come “cammina, cammina, cammina” o di episodi. Improvvisi riferimenti alla vita reale, interiezioni dei tipi più disparati, giochi di parole e vocaboli arcaici vi aiuteranno, inoltre, a intessere con il lettore/ascoltatore un rapporto il più stretto possibile, per catturare la sua attenzione e suscitare la sua meraviglia. In poche parole, per farlo sognare.

UN RACCONTO FANTASY – HORROR – FANTASCIENTIFICO
Sono tre generi che si contaminano tra loro e raccolgono l’eredità moderna della fiaba.
Quando scrivete un racconto fantasy o fantasy-horror o di fantascienza, vi rivolgete soprattutto (ma non soltanto ovviamente) al mondo dei giovani adulti che spesso non corrisponde alla visione stereotipata veicolata dai media.
Nel fantasy l’ambientazione è quasi sempre il medioevo fantastico. C’è un eroe e un antieroe (divinità o mostri primigeni), personaggi secondari aiutanti e antagonisti (maghi, elfi, guerrieri, troll, orchi, ecc.), e un’impresa da portare a termine. Le vicende raccontate sono credibili, e i personaggi vividi e reali, con una psiche ben definita. Questa è solo una delle numerose strade percorribili del genere fantasy. Una bussola per cercare di non perdervi in questa foresta immensa: andate a dare un’occhiata a “Sanctuary”, un’antologia di racconti made in Italy a tema.
Per il racconto di fantascienza non avete a disposizione solo astronavi e battaglie intergalattiche. La fantascienza è un vastissimo continente di storie. Pensate soltanto a quanto materiale vi offre la genetica, la realtà virtuale o soltanto l’immaginarsi una storia alternativa a quella accaduta.
Idem per i racconti fantasy-horror o dark-fantasy. Per raccontare una storia che abbia il mistero, in tutte le sue sfaccettature, come filo conduttore basta cercarla nelle paure dell’infanzia e nelle ossessioni che avete intorno.

UN RACCONTO D’AVVENTURA
Il racconto di avventura è nato per narrare viaggi in luoghi non convenzionali o immaginari. L’ingrediente da cui partire è la diversità. L’eroe si trova in un posto che non conosce, magari popolato da gente con usanze e lingua ignote: per cominciare deve appropriarsi delle regole e dei meccanismi di quel mondo, per capirlo e sapersi muovere al suo interno.
Poi bisogna dare il via al racconto. E allora il nostro eroe deve avere una missione, un motivo per cui si trova lì: qualcosa da cercare o qualcuno da salvare.
Infine dati antagonista (il mondo da interpretare e domare) e obiettivo; il coraggio, l’ingegno e la capacità di cavarsela, diventano l’ultimo ingrediente, quello che farà esplodere la narrazione e permetterà all’eroe di tornare a casa.

UN RACCONTO NOIR
Se c’è una regola da seguire è questa: pianificare prima dove ambientare il noir. Sarà quella la scelta che caratterizzerà tutta la storia, diventando il tessuto connettivo in cui far muovere e interagire personaggi e situazioni. Lo scrittore di noir conosce sempre la destinazione prima di partire. Solo in questa maniera può muovere le fila di una storia in cui i personaggi danzano nel buio. L’aspetto narrativo più affascinante del noir è questo confine liminale tra male/bene/buono/cattivo. Quello che sembra cattivo, è buono: il detective disperato che lavora perché il bene trionfi. Quello che sembra buono è cattivo: la donna opportunista che sfrutta il suo fascino per irretire chiunque. Compreso l’eroe buono che per questo assomiglia più alla figura di un perdente che a quella del supereroe invincibile. Un dettaglio che lo rende umano e che svela il segreto del suo successo.

UN RACCONTO GIALLO
Scrivere un racconto giallo è un po’ come fare una strada all’indietro. Più che in tutti gli altri generi, trama e intreccio devono essere ben chiari nella testa dell’autore. Dobbiamo vedere nel minimo dettaglio la scena del delitto, il delitto, il movente, le vite della futura vittima, del futuro assassino e di tutti i sospetti prima del delitto. Solo andando a ritroso potremo costruire il percorso che vogliamo che il lettore percorra, disseminandolo di piste e trabocchetti per far crescere la suspance. Scrivere un giallo è andare all’indietro per costruire tutte le strade che mi serviranno per condurre in avanti il lettore.

UN RACCONTO UMORISTICO
Il comico è un genere letterario meticcio. È una forma di narrazione che restringe la distanza narratore/lettore, rendendoli complici o nemici per sempre. La risata funziona se arriva quando non te l’aspetti. In un racconto l’ironia è una medicina da versare con il contagocce: non deve essere sovradosata. Altrimenti, ci si trova di fronte a effetti collaterali piuttosto fastidiosi, tipo la noia. L’ironia richiede un ritmo narrativo rapido, una stilettata breve e inaspettata, come un fulmine a ciel sereno. Se c’è un mondo dove l’ironia la fa da maestra è la vita. Fate buon uso delle vostre piccole tragedie quotidiane: se saprete ridere di voi stessi un giorno vi torneranno utili e saranno una premessa preziosa e indispensabile per far ridere gli altri.

CONSIGLI DI SCRITTURA E DI LETTURA

A) Le trame di tutti i grandi romanzi non sono altro che scherzi sublimi a cui la gente abbocca senza scampo, ogni volta.
Kurt Vonnegut 

B) Scrivere è mostrare, far vedere.
Joseph Conrad

C) Non si scrive perché si vuole dire qualcosa, ma perché si ha qualcosa da dire.
Francis Scott Fitzgerald 

D) Da quando, all’inizio degli anni ottanta, attraversai un periodo in cui non riuscivo a progredire nel lavoro, al mattino utilizzo  il metodo della libera associazione, che lo stesso Freud scoprì, curiosamente, in un manuale di scrittura di Ludwig Börne, meravigliosamente intitolato L’arte di diventare uno scrittore originale in tre giorni. Capii che ero in grado di creare idee ed evitare l’ansia buttando sul foglio parole a caso, scrivendo qualsiasi cosa mi venisse in mente, un po’ come mi servivo dei sogni per far emergere idee e collegamenti. Il mio inconscio la sapeva più lunga di me, era più svelto, spiritoso e sintetico, ma le sue emanazioni andavano organizzate e ponderate.
Hanif Kureishi

E) Il mestiere dello scrittore è un’arte, o meglio un artigianato, e il metodo dipende un po’ dalle circostanze. A volte prendo un blocco e butto giù il mio testo con una scrittura che sfortunatamente diventa illeggibile in capo a quattro o cinque giorni, che in qualche modo appassisce come i fiori. Ma succede anche che vada dritta alla macchina da scrivere e batta una prima versione. In ambedue i casi, per ogni frase, vado di slancio; successivamente, cancello, scelgo la frase che preferisco. Lavoro anche con forbici e colla, ma non sempre. E se le piacciono le piccole manie tipiche dello scrittore, gliene posso citare una: alla terza o quarta revisione, armata di matita, rileggo il mio testo, già quasi a posto, e tolgo tutto quello che può essere tolto, tutto ciò che mi pare inutile. E qui, esulto. Scrivo a piè di pagina: abolite sette parole, abolite dieci parole… Sono felicissima: ho soppresso l’inutile.
Marguerite Yourcenar

F) Gli scrittori lavorano con le parole e le voci proprio come i pittori lavorano con i colori; e da dove vengono queste parole e voci? Da molte origini, conversazioni ascoltate o semiascoltate, film e trasmissioni della radio, giornali, riviste e anche da altri scrittori…
William Burroughs

G) Non riesco a scrivere cinque parole senza cambiarne sette.
Dorothy Parker

H) Intendo mantenere il controllo stilistico ed emozionale sul materiale. Secondo me un racconto può essere rovinato dal ritmo sbagliato di una frase – soprattutto verso la fine – o da un errore in un capoverso, perfino dalla punteggiatura.
Truman Capote

I) Le narrazioni che mi interessano di più hanno sempre un contatto con il mondo reale. Nessuna delle storie che scrivo è successa davvero. Ma c’è sempre qualcosa, un elemento, una cosa che mi è stata detta o che ho visto, che potrebbe essere il punto da cui partire.
Raymond Carver

L) Bisognerebbe calarsi in fondo al mare, e vivere soli con le proprie parole. Ma non sono del tutto sincera, perché essere messi in discussione, essere lodati e criticati è uno stimolo notevole.
Virginia Woolf

CONCLUSIONI
Come con tutte le regole, queste sono fatte per essere infrante. Il racconto si presta alla sperimentazione proprio perché è breve: gli esperimenti strutturali che non potevano essere sostenuti per trecento pagine possono funzionare benissimo per quattro o cinque cartelle. Soprattutto oggi che i confini tra generi si confondono, destando un necessario stupore nei lettori. Tenete a mente che raccontare la vostra storia è la cosa più importante.
In breve:
1) Se infrangere una regola consente di raccontare la vostra storia in modo più efficace, con tutti i mezzi, fatelo.
2) In caso contrario, pensateci due volte o almeno siate onesti con voi stessi.

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